Come si fa oggi ad approntare un’accoglienza di persone che escono dal carcere?

di Alessandro Pedrotti, Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia

In questi giorni così difficili per tutti, più volte il volontariato e il terzo settore hanno segnalato le difficoltà di chi, privato della libertà personale, vive all’interno di carceri sovraffollate e deve affrontare la paura del virus, la solitudine per la lontananza dei famigliari, l’impossibilità di rispettare regole minime come la “distanza sociale”.

Le misure prese per riportare le carceri a numeri più civili, come la detenzione domiciliare prevista dal Decreto Cura Italia, non tengono conto di una questione fondamentale: che molte delle persone, che potrebbero accedervi, e ridurre così il sovraffollamento, non hanno un luogo dove andare. E allora, come sempre, al volontariato e al terzo settore oggi viene chiesto dalle istituzioni di accogliere le persone che usciranno dal carcere in detenzione domiciliare o per differimento pena. E di farlo a costo zero.

Chi si occupa di accoglienza vive una situazione drammatica.

Io sono uno di loro in quanto operatore di una comunità. Le case di accoglienza devono attivare delle misure igienico-sanitarie di igienizzazione e di uso di dispositivi di protezione individuale (dpi), che hanno costi molto elevati. A queste case, che nella maggior parte stanno già operando a pieno regime, viene chiesto di accogliere in detenzione domiciliare persone che non hanno visto, con cui non potranno fare un colloquio preliminare, spesso con patologie o con problemi di dipendenza e nel contempo senza adeguato supporto sanitario. Sì, è vero, chi sta scontando una pena ha diritto di accesso alla sanità, ma in questi giorni chi è in grado di attivare procedure per dare un medico di base alle persone che eventualmente accedano a misure alternative, quando già si fa fatica a telefonare e reperire il medico nelle ore di apertura ambulatoriale per chi è già in carico alle nostre strutture?

Chi fa le norme dovrebbe sapere sempre che queste hanno un costo, è da anni che in Italia invece molte leggi sono a costo zero e che si chiede alle organizzazioni di volontariato e di terzo settore di sopperire alla mancanza di risorse dello Stato.

Le direzioni degli Istituti di pena e le aree pedagogiche, la magistratura di Sorveglianza, i responsabili dell’area penale esterna stanno cercando di fare la loro parte per attuare le disposizioni relative alla detenzione domiciliare delle persone con pene o residui pena sotto i 18 mesi, ma è fuori, sul territorio, che rischiano di naufragare queste misure.

Come si fa ad approntare un’accoglienza in queste condizioni?

Come si fa a dare una risposta efficace a persone che saranno prevalentemente in detenzione domiciliare, scaricate semplicemente sulle spalle del volontariato senza prevedere forme di rimborso dei costi? Da anni il volontariato chiede trasparenza e maggior accesso ai fondi di Cassa Ammende, per poter implementare progetti di accoglienza che garantiscano serietà e capacità progettuale. Fin qui siamo stati inascoltati, oggi le carceri sarebbero certamente meno sovraffollate se ci avessero dato ascolto. Fare accoglienza, seguire un detenuto domiciliare, significa accompagnare queste persone con personale volontario e personale retribuito. Significa che durante quelle 24 ore devi garantire a quelle persone un’accoglienza degna: Dostoevskij scriveva “Io mi sento responsabile appena un uomo posa il suo sguardo su di me”; ecco, noi sappiamo che la nostra responsabilità non finirà con l’emergenza ma che a quelle persone dovremo dare una risposta, offrire una vera opportunità. Oggi invece le istituzioni sono a chiedere, a chiedere senza dare. Non possiamo più accettare questa delega a costo zero, non possiamo farci scaricare un problema, perché l’accoglienza fatta in questo modo si rivela problematica. Gestire una struttura di accoglienza oggi significa avere tutti detenuti domiciliari, anche chi è libero o affidato deve stare rinchiuso, significa dover mediare continuamente, anche rispetto alle paure, e alle contraddittorie informazioni che arrivano. Significa dare spazi, non fisici che in questo momento sono negati, ma di ascolto e tutela, offrire un senso di protezione. Come si fa tutto questo, quanto costa? Nei prossimi giorni qui a Bolzano, la città da dove scrivo, la struttura che dirigo verrà “sanificata”, perché così impongono le norme provinciali. La sanificazione di questo tipo viene fatta da ditte specializzate che costano molto. Sanificazione che dovrà essere ripetuta se dovessero esserci casi positivi al Covid 19. Come si fa a pensare oggi di aprire nuove strutture se non si è coperti economicamente? In alcuni casi, alcune associazioni o delle diocesi, hanno aperto oggi nuove strutture coprendone integralmente i costi, di questo siamo testimoni in prima persona, ma questo non ci deve far dimenticare che questo modo di operare dello Stato non va bene. Non siamo in grado di accogliere richieste fatte senza mettere le risorse adeguate, se vogliamo fare un’accoglienza rispettosa delle persone private della libertà non possiamo, oggi più che mai, non avere questo senso di responsabilità. La responsabilità è anche saper dire no quando le condizioni non ci sono.

Cosa si può fare? Si può fare un piano straordinario di accoglienza che può essere finanziato con Cassa ammende e con fondi straordinari – gli stessi da cui si attingerà per i vari capitoli di spesa previsti in questa emergenza. Un piano che preveda uno stanziamento significativo per sostenere tutte quelle iniziative che sgraveranno il sistema carcerario di quei 5/10.000 detenuti che potrebbero usufruire delle misure straordinarie approvate e anche di quei detenuti che hanno un fine pena sotto i 4 anni e potrebbero tranquillamente accedere all’affidamento in prova. Se lo Stato non fa questo passo, non può chiedere agli altri di sostituirsi alla sua responsabilità. La figura dell’eroe la lasciamo alla mitologia, però oggi chi opera nelle strutture sociali è in prima linea, spesso con formazione e protezioni inadeguate rispetto al rischio reale di contagio a cui è esposto, anche a loro tutela ci sentiamo di chiedere che le Istituzioni, che hanno la responsabilità delle persone che stanno scontando una pena, ci mettano in condizione di accogliere chi potrebbe usufruire di misure alternative in modo adeguato e responsabile.

Pubblicato da Francesca Valente

giornalista professionista

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